Luci, colori, profumi, aromi …
Le ostriche hanno incantato poeti e governanti La seduzione delle perle ha alimentato nell’antichità le più favolose leggende. Nell’età classica greca e romana a partire da Omero, erano note come piatto raffinato e pregiato e le perle erano considerate fenomeni di condensazione d’ispirazione divina: “lacrime delle Najadi” solidificate, o rugiada sfiorata dal tocco di Venere.
Ne esistono di molteplici varietà, allevate o naturali, di piccole dimensioni (2 cm) e di proporzioni importanti (25 cm). Vivono fino a 70 anni e come gli alberi hanno le linee per contare la loro età. Le più diffuse sono le Bèlon , dalla forma piatta e rotonda tipica della Bretagna, Le Creuse, dalla forma allunfata, le Papillon, le Fines de Claire etc
Se siete in viaggio nel Massachusetts e vi capita di passare per Boston fermatevi da Neptune Oyster Bar dove Jeff vi accompagna in una degustazione di ostriche inenarrabile. Un’esperienza multinazionale (dal Giappone, al mediterraneo, all’Atlantico al Pacifico), la mia era composta da le Plate di Arcachon (Francia), Island Creek (MA), Pemaquid (ME), Tatamagouche (NS), Kumamoto (WA), Kusshi (BC) e Littleneck Clams (MA).
Cosa accompagnare a questa prelibatezza?
Le ho degustate con un Don Perignon Rosè selezione Oenothèque 1990, lasciato nei lieviti per quasi 20 anni. Un blend di Pinot Nero e Chardonnay, degorgè nel 2007. Un’annata particolaristtima in tutta la regione dello Champagne: dopo un inizio di primavera fenomenale arrivarano delle gelate primaverili che fecero cadere la maggior parte dei fiori. Ne derivò che i grappoli fossero poveri di acini ma pieni di sostanza.
Ricavarono degli ottimi Champagne e la selezione Oenothèque Rosè, grazie all’arte di cantina esalta ancora di più questa particolarissima annata. Al naso è uno Champagne forte ed intenso con profumi esotici fruttati e speziati accompagnati da un struttura suadente che ben si fonde con una voluttuosa consistenza al palato.
Il perlage fino, elegante e continuo rinfresca la bocca tra una Bèlon ed una Kumamoto.
by Alberto Buratto